Recensioni

TROVATE RASSEGNA STAMPA E NEWS PIU’ AGGIORNATE AL (LINK):

Jan 08 2020 – La Gazzetta del Mezzogiorno – A ritmo di patchanka riecco Pseudofonia (link)
Jan 05 2020 – Resto al Sud – Il ritorno di una band simbolo di una città che non si arrende: gli Pseudofonia (link)
Dec 19 2019 – JamTv – Pseudofonia, un EP per celebrare i 30 anni dalla nascita del gruppo foggiano (link)
Dec 19 2019 – RKO Radio – RadioSpia records presenta «Pseudofonia – 30» (link)
Dec 17 2019 – l’Immediato – Il grande ritorno degli Pseudofonia (link)
Dec 17 2019 – Teleblu – Pseudofonia, il nuovo E.P. della band-culto di Capitanata (link)
Dec 12 2019 – Foggia Città Aperta – 1989-2019: riecco gli Pseudofonia, nuovo EP con 5 brani (link)
May 13 2019 – Foggia TV – Hypnos, in viaggio sul disco volante di Maurizio Rana (link)
May 09 2019 – La Gazzetta del Mezzogiorno – Maurizio Rana presenta il nuovo album Hypnos (link)
May 09 2019 – l’Attacco – Hypnos presentato da RadioSpia records (link)
Feb 21 2018 – Resto al Sud – Musica tra ricerca e sperimentazione (link)
Feb 19 2018 – La Gazzetta del Mezzogiorno – Musica stellare: c’è l’universo in un handpan (link)
Feb 17 2018 – Telefoggia – Interview about RadioSpia 11 «Maurizio Rana – Music For Handpan» (link)
Feb 16 2018 – l’Attacco – Music For Handpan, un progetto molto particolare (link)
Feb 15 2018 – Foggia Città Aperta – Maurizio Rana suona l’handpan, musica tra le stelle (link)
Feb 15 2018 – Teleradioerre web – Novità in casa RadioSpia: esce l’EP di Maurizio Rana (link)
Feb 13 2018 – l’Attacco – Ritornano le produzioni di RadioSpia con curiose melodie (link)
Feb 11 2018 – La Gazzetta del Mezzogiorno – Musica per handpan con Maurizio Rana (link)
May 03 2017 – Resto al Sud – RadioSpia Records presenta in Puglia «Giovanni Mastrangelo: Albert Camus» (link)
Apr 29 2017 – Teleradioerre – RadioSpia presenta Albert Camus, il disco solista di Giovanni Mastrangelo (link)
Apr 29 2017 – Il Quotidiano di Foggia – RadioSpia pubblica «Albert Camus» (link)
Apr 28 2017 – La Gazzetta del Mezzogiorno – Albert Camus, nuovo disco di Mastrangelo (link)
Apr 26 2017 – l’Attacco – Camus diventa un brano dal sound particolare (link)
Apr 26 2017 – FoggiaToday – Giovanni Mastrangelo e il viaggio musicale nella poetica di Camus (link)
Jun 26 2016 – Frastuoni – Sis Felix (review) (link)
Mar 10 2016 – Foggia Città Aperta – Ungheria on-line, partito il viaggio alla conquista dell’Europa (link)
Mar 06 2016 – Teleradioerre – Interview about Esposito Gennaro Panettiere Fornaro’s Blues Band – UNGHERIA (link)
Mar 02 2016 – l’Attacco – Ungheria, l’ultima fatica di RadioSpia che già piace (link)
Mar 02 2016 – La Gazzetta del Mezzogiorno – In Ungheria rock demenziale e altre melodie (link)
Mar 02 2016 – l’Attacco – Ungheria, l’ultima fatica di RadioSpia che già piace (link)
Mar 02 2016 – La Gazzetta del Mezzogiorno – In Ungheria rock demenziale e altre melodie (link)
Mar 02 2016 – Teledauna – TV report about presentation of «EGPFBB: Ungheria» (link)
Feb 23 2016 – Telenorba – Interview with Sis Felix and about other RadioSpia releases (link)
Jan 07 2016 – La Gazzetta del Mezzogiorno – Tornano i Sis Felix, band new wave degli anni ottanta (link)
Jan 06 2016 – l’Attacco – Sis Felix: ecco il ritorno di RadioSpia (link)
Jan 05 2016 – Teledauna – (TV report) Sis Felix, debutto discografico con RadioSpia verso l’estero (link)
Jan 05 2016 – Teleradioerre – TV report about «Sis Felix: Motionless Thinking» (link)
Jan 04 2016 – Il Mattino – RadioSpia è tornata, Foggia Sis Felix (link)
Oct 26 2015 – l’Attacco – Madame Butterfly and Mr. Bear: un videoclip che fa riflettere (link)
Oct 25 2015 – Foggia Today – Madame Butterfly and Mr. Bear: piace molto il primo videoclip (link)
Mar 04 2015 – Telenorba – TV report about One Carl Is Undead: An Ideal Today For Carmina Burana (link)
Feb 10 2015 – Rec24 – Carmina Burana del terzo millennio (link)
Feb 11 2015 – Studio9tv – One Carl Is Undead: An Ideal Today For Carmina Burana, progetto sperimentale (link)
Feb 10 2015 – Foggia Città Aperta – I Carmina Burana? Un progetto moderno, modernissimo. Anzi: elettronico (link)
Feb 10 2015 – Teledauna – TV Report about: One Carl is Undead, i Carmina Burana di RadioSpia (link)
Feb 10 2015 – La Gazzetta del Mezzogiorno – Carmina Burana, una visione che diventa disco (link)
Nov 28 2014 – Bari Today – Radiospia pubblica My blue-eyed guy, il nuovo EP di Madame Butterfly and Mr. Bear (link)
Nov 06 2014 – Teleradioerre – In uscita il nuovo lavoro della band Madame Butterfly and Mr. Bear (link)
Oct 09 2014 – l’Attacco – Pseudofonia riediti con RadioSpia (link)
Jun 27 2014 – Il Quotidiano di Foggia – La classe di Andrea Chimenti incanta la Capitanata (link)
Mar 31 2014 – La Gazzetta del Mezzogiorno – The Alpha States fanno una cover di David Bowie (link)
Apr 16 2013 – La Gazzetta del Mezzogiorno – I foggiani di RadioSpia suonano Suzanne Vega (link)
Apr 08 2013 – Telenorba – TV report about The Charmin’ Elf (link)
Mar 22 2013 – Viveur – Radiospia strikes again (The Alpha States – Solitude Standing) (link)
Jan 12 2013 – l’Attacco – Riecco l’Elfo che incanta (link)
Jan 11 2013 – Punto di Stella – Gli Elfi tornano a Incantare (link)
Jan 01 2013 – Foggia Città Aperta – Gli Elfi incantano con «She’ll wear my ring» (link)
Jan 04 2013 – l’Attacco – Dal Mitico VBG Audio Labs a RadioSpia (link)
Jan 02 2013 – La Gazzetta del Mezzogiorno – L’elfo che incanta (link)
Nov 10 2012 – Sunday Radio – Con “She’ll Wear My Ring” tornano i foggiani The Charmin’Elf (link)
When we were a radio program – Apr 12 2011 – RadioSpia The Final Party (RadioSpot+Locandina) (link)
When we were a radio program – year 2011 – RadioSpia (Official TV Spot #2 plus vocals – 45 sec) (link)
When we were a radio program – Feb 11 2011 – RadioSpia “goes to”: servizio televisivo del TGerre (link)
When we were a radio program – year 2010 – RadioSpia (official spot #1 – 16sec) (link)
When we were a radio program – Dec 17 2010 – Viveur – La Spia fa 97 (link)
Jul 21 2008 – Il Quotidiano di Foggia – Spot RAI pubblicità / progresso: La musica è degli Pseudofonia (link)


Recensione: “Pseudofonia: 30”

(una recensione di Alessandro Galano per Jamtv.it)

È una delle cose tra le più vive e interessanti nate in Puglia negli ultimi decenni. Una miscela di storie, suoni e idiomi che la “patchanka” – nella sua girandola latina di ska, punk, rock, rap, reggae – era riuscita a inquadrare dentro i propri cardini di genere, così amabilmente traballanti, timbrando il passaporto di una band che avrebbe portato Foggia e la sua dura lingua – e la sua dura lex – lontanissimi da casa, fin fuori dai confini nazionali. Dalla vittoria all’Arezzo Wave del ’98 sino alla conquista del main stage dei migliori festival folk – l’Interceltique di Lorient, per dirne uno.
Sono gli Pseudofonia, folk band nata nel 1989 tra le aule dell’Istituto d’Arte del capoluogo dauno, in grado di ritagliarsi uno spazio altamente riconoscibile nel panorama musicale alternativo tra la fine degli anni ’90 e la prima metà degli anni ‘2000, quello dei figli e cugini di Manu Chao (o dei Mano Negra, a essere esatti), in Italia ben rappresentato dai Modena City Ramblers, senza però escludere 99 Posse, Almamegretta e Agricantus. A trent’anni dalla nascita, l’etichetta RadioSpia records presenta 30, un nuovo ep che celebra la band di culto di Capitanata, in distribuzione dal 18 dicembre 2019 e contenente materiale inedito e rimasterizzato con mirabile pulizia di suono: un omaggio ai fan che, ancora tantissimi, continuano a identificarsi in quei suoni, in quelle storie, in quel Sud vivido, attuale e così fortemente anti-retorico.

Cinque tracce con dentro un live e una cover, Scutuleja, quest’ultima interpretata da The Alpha States e realizzata tra il 2017 e il 2019 su idea e lavoro di Marco Maffei, nella cui esecuzione figurano anche due membri storici degli Pseudofonia, Michele Rendine e Niki Dell’Anno. Una versione, questa, che si discosta molto da quella originale datata 1999, di certo meno “balcanica”, impreziosita dalle incursioni dialettali più nette firmate da Angelo Cavallo e da accenti di synth e chitarra elettrica dosatissimi, tali da inquadrare il brano in chiave più onirica, a conferma della profonda malleabilità di una traccia ancora attualissima. Come attuali sono e restano i testi di brani come Gigione Nega Tutto e Uomo In Scatola, rispettivamente prima e seconda traccia, l’una esito di un mixaggio nuovo di zecca, l’altra egregiamente rimasterizzata: storie di chi “non si riconosce” e racconta “quel meschino giorno che forse era di sera”, di “chi cadeva di frequente e poco si rialzava” o ancora, nel linguaggio plastico e definitivo del popolo, di chi “nen vole chiù capì” (non vuole più capire) e alla fine, miseramente, “s’abbalish” (s’avvilisce). E poi i fiati, le voci, quegli “schiamazzi” così ben incastrati nel reticolo percussivo, tra italiano e dialetto, mai artificiosi, senza dimenticare l’ironia, il sarcasmo, il sapore dolceamaro che è l’esatto sapore della terra d’origine di una band che ha saputo correre fortissimo per poi rallentare di colpo, forse tradita da quello stesso futuro visto in tralice nelle proprie canzoni.
Completano 30 altre due tracce che, vuoi o non vuoi, hanno a che fare con la nostalgia. Un sentimento, questo, che nel nostro Mezzogiorno assume contorni rabbiosi, quanto meno di rivalsa, forse alla radice di chi ha voluto ricordare che trent’anni di Pseudofonia sono un traguardo che non deve passare inosservato. Si pensi alla marcia strumentale Lungo Viaggio Verso Casa (Ritorno A Foggia) – anch’essa rimasterizzata – che ha già nel titolo il proprio manifesto e che affida alla fisarmonica di Antonio Bucci tutto il suo messaggio di treno in corsa lungo l’Adriatico, raccontando generazioni migratorie che, oggi come ieri, continuano a portarsi i sogni in valigia. E si ascolti, infine, la versione dal vivo di Transumanza, registrata in stereofonia durante un memorabile concerto datato 2 settembre 2005, all’Anfiteatro Mediterraneo di Foggia, davanti a tantissimi giovani che si identificavano orgogliosi con la band della loro terra. L’intro che apre questa splendida chicca inedita è tratto da Kunz, “brano-inno” degli Pseudofonia: cinquanta secondi in versione remix firmati Emanuele Menga e inseriti prima della canzone che dà il titolo alla traccia, tra le voci entusiaste della gente, in attesa di ascoltare una storia antica che scorre come sangue tra le vene del Tavoliere.
Quell’anfiteatro a Foggia non esiste più, ma questa musica esiste ancora, come esistono quei ventenni assiepati sui gradoni di ieri e oggi quarantenni: 30 ne è la prova, ma è anche la loro voce che ritorna, oltre che l’omaggio a una band che col tempo – e forse anche col silenzio – sembra aver accresciuto la propria credibilità, se è vero che questa si misura con il passare del tempo. (Alessandro Galano – Dec, 2019) – Online page LINK


Recensione:  “Giovanni Mastrangelo: Albert Camus” (Singolo)

(una recensione di Gianpaolo Maria Ruotolo)

Alla sua decima uscita, l’etichetta RadioSpia distribuisce un singolo che, pur riconoscendo l’indubbio valore di tutte le uscite precedenti, rappresenta in qualche modo un fiore all’occhiello di questa realtà giovane e molto innovativa.
Il brano, scritto dal bassista Giovanni Mastrangelo con Marco Maffei e Lucio Pentrella, è ispirato ad Albert Camus ed è sia sotto il profilo artistico sia sotto quello più strettamente tecnico certamente un grosso risultato per il suo interprete, per i musicisti che vi suonano e per il suo produttore.
Il pezzo, difficilmente riconducibile a un solo genere musicale (ma a qualcuno interessano ancora, i generi musicali?), ha un sapore di musica orientale che si fonde con un rock elegante e colto, e alcune forme di jazz contemporaneo. Volendo provare a fare qualche riferimento, si potrebbe citare per un verso alcune cose di Masada di John Zorn e alcune composizioni di rock piuttosto estremo di Marc Ribot in trio.
Il prezzo si muove fra un basso fretless (ma in realtà sono tre) a dipanare il discorso principale, e gli altri strumenti (le chitarre elettriche e acustiche e il piano di Lucio Pentrella, il sax di Paolo Gaudiano) che giocano a botta e risposta con lo strumento di Giovanni e ci fanno da guida verso l’estate inevitabile di Camus, muovendosi fra diversi cambi di tempo, che alternano a un quattro quarti regolare diversi tempi dispari magistralmente gestiti dal batterista Antonio Cicoria, che qui suona anche alcun synth analogici.
Particolarmente affascinante, poi, è il missaggio audio, che ricrea nei due canali della stereofonia un suono surround 7.1 (mai fine a se stesso) intorno all’ascoltatore, che si sente circondato da musicisti e suoni e può godere meglio del brano (di Gianpaolo Maria Ruotolo)


Recensione: “Sis Felix: Motionless Thinking”

(una recensione di Luca Sponzilli)

Esordio per i nostrani Sis Felix, band attiva nel panorama musicale indipendente dagli anni ’80. Formatisi a Foggia nel 1985, danno il loro contributo all’esplosione della new wave italiana con la pubblicazione nel 1987 di un demo tape ottimamente recensito dalla rivista Rockerilla e la partecipazione all’Arezzo Wave dello stesso anno. Il suono dei Sis Felix prende dal post-punk dei Cure di “Seventeen Seconds” al glam ampliato in chiave dark dei Bauhaus di “Mask” e soprattutto di “The Sky’s Gone Out”. La ritmica ossessiva di divisioniana memoria si alterna alle variazioni in crescendo di scuola Sound / Danse Society.
Dopo lo scioglimento avvenuto nei primi anni ’90 e i recenti avvicendamenti dei musicisti che formano la band (reduci dalla prima line-up solo il vocalist Roberto Pellicano e il bassista Alessandro Brescia), i Sis Felix tornano in scena con questo singolo registrato ai Mastering.it Audio Labs sotto l’algida regia di Marco Maffei.
I brani che compongono questo lavoro sono due, Motionless Thinking e Sorrow, … due gemme che brillano di una luce oscura, contrapposizione di due forze opposte che come avviene nella musica dark dalla disperazione aspira all’estasi. Nella prima canzone il suono degli esordi viene ripreso ed evoluto verso una forma musicale che diventa la moderna esaltazione di uno stile. La seconda traccia, più malinconica, regala suggestioni intrise di atmosfere new wave anni ’80. Ovunque domina il suono delle chitarre e le parti vocali sono raggianti. La linea in estensione basso/batteria non sbaglia un colpo. Un suono forte, maturo, rappresentazione di uno stato d’animo particolare come i difficili temi affrontati nei testi. Inarticolate visioni notturne ed esistenziali trasformate in accurati schemi. Un singolo che, per ovvie ragioni, è molto più di un semplice esordio discografico. Sicuramente una delle cose migliori ascoltate e pubblicate negli ultimi anni.
Lecito aspettarsi (ora) l’album dai Sis Felix che peraltro vantano un ampio repertorio eseguito nelle loro esibizioni “live”. Alla bellezza di questi due brani e alla curiosità per le future realizzazioni, manca solo il vostro ascolto. Regards (di Luca Sponzilli) – [(C) Frastuoni (https://www.frastuoni.it/?p=4808)]


Recensione: “Sis Felix: Motionless Thinking”

(una recensione di Andrea Chimenti)

Gli anni ’80 certamente appartengono al passato, un passato talmente seminale che pur “essendo stato” continua tutt’oggi la sua fioritura, dimostrando che nulla si interrompe, ma piuttosto che le idee e i pensieri si evolvono in una soluzione di continuità, sempre a crescere, dove si può cogliere passato, presente e futuro.
Oggi ho ascoltato un gruppo che affonda le proprie radici in quegli anni: i Sis Felix.
Il primo ascolto mi ha stupito, il secondo mi ha convinto. Stupore e convinzione sono due elementi che raramente trovo nel panorama pop. Il gruppo capeggiato da Roberto Pellicano regala due brani capaci di rimandarti a sensazioni dei migliori anni ’80, riuscendo ad essere allo stesso tempo assolutamente contemporaneo.
Questa è la forza di “Motionless Thinking” e “Sorrow”, due canzoni scritte sapientemente dove spicca la produzione di Marco Maffei (RadioSpia records) che ha scolpito i due brani con sonorità di livello internazionale, così rare nel nostro paese. Per deformazione professionale, il mio primo ascolto è andato alla voce e faccio un applauso particolare a Roberto Pellicano: emozionante.
Complimenti ragazzi, con il vostro bagaglio musicale avete il futuro davanti: avanti tutta! (di Andrea Chimenti, 12/02/2016).


Recensione: Videoclip “The Alpha States & Andrea Chimenti: Ashes to Ashes”

(la recensione di una bibliotecaria)

È possibile insufflare la vita nel cuore di un antico motore, rianimarlo per un breve miracolo di tempo, senza che la morte venga dimenticata nel processo, ma con la pretesa, anzi, che rimanga sullo sfondo come una vigile sentinella partecipe di siffatta resurrezione? Chi mai si aspetterebbe che l’ossigeno venga forzato dentro polmoni inerti e sclerotici così da ricreare l’illusione del respiro, senza che vengano usurpati alla malattia che vi dimora? Come si estrae acqua da un rubinetto prosciugato dal tempo senza sollevarne la patina di sete rugginosa?
Come inoculare il suono negli alvei vacui di un fantasma di pietra, tenuto insieme solo dall’assenza e da echi vaganti, una rete solitaria intessuta di recessi che qualcuno tempo fa chiamava “un luogo”, senza che la nebbia silenziosa dell’oblio venga dissolta?
E’ davvero possibile, in quasi sei minuti e mezzo, riaccendere la vita in un corpo esanime, a condizione che la morte non vi si allontani mai? È possibile.
Con un abile gioco di prestigio tra scie ben equilibrate di immagini costruite come discorsi, di sezioni fotografiche come proposizioni, di particelle di fotogrammi come monosillabi. Certamente è possibile giostrare tra vita e morte, attraverso la saturazione dei bianchi e dei neri che sgretolano vecchie scrivanie, ormai inutili, poste a guardia di paurosi corridoi fatti solo di luce e ombra. Può essere possibile, dosando il grigio accecante e il biancore perlaceo dei riverberi marini, di massicce cattedrali di torri e merlature, dei pieni e vuoti di un borgo pietrificato, abitato solo da se stesso, di muri con croci al posto degli occhi e croci con occhi pieni di compassione derisa dal Nulla intorno e dalla vita segreta che brulica sotto di esso.
Possibile, sì, passando per l’avida e repentina aggressione perpetrata da un colore opulento, denso di falso chiarore, che invade tetti sfondati, oceani di erbacce dilaganti, muri che piangono calcinacci di corallo salso; un colore crudele, che frusta le vene esposte dei rami serpeggianti lungo le pareti, che trasforma il muschio sul bordo dei lavandini in verde acido.
Possibile, se si inondano di luminosa ardesia le superfici nude e deserte di architetture piranesiane, e di liquido chiarore quelle irregolari di angusti sentieri dimenticati.Ma questo tutto immaginifico, fatto di cromatismo sussultorio, sa riportarsi verso una rispettosa ricomposizione, lasciando che solo i gabbiani ereditino le voci e gli insetti ricalchino i passi di questo “non luogo”. Alla fine, il colore deve ritirarsi, con indosso il suo abito di verosimiglianza, negli angoli più remoti del mondo reale e invisibile. Si lascia dietro un’unica sfumatura, la sola che dovrà tornare alla cenere (di Miriam Ravazzone, bibliotecaria).


Recensione:  “Live Unplugged & Yuri Recital”

Parole che ardono tra la terra ed il cielo

(Live Unplugged & Yuri Recital, recensione di Valerio Carangella)

In una quieta notte sotto un cielo stellato, immersi nel silenzio della campagna pugliese, la brezza estiva che muove le fronde degli alberi e lanterne tra i rami, lontani dalle fatue sollecitazioni dello show-biz, Andrea Chimenti ha presentato per la prima volta il suo Yuri, senza effetti speciali, ma solo con esagerata passione, come fiamma che arde tra la terra ed il cielo. Assistere alla data zero di un progetto artistico è sempre emozionante, ma il Live Unplugged & Yuri Recital di Andrea Chimenti ha generato energie particolari, in grado di raggiungere angoli dell’anima remoti. Non un semplice reading e non solo un live, ma un viaggio intenso, vorticoso, nell’immaginifico mondo narrativo di Chimenti; un artista fortemente ispirato, un delicato guerriero, che cerca di combattere l’appiattimento musicale e culturale di giorni feroci ed inermi. Una battaglia pacifica e silente, la sua, ma inarrestabile e coerente, che dura da ben 12 album.
Ma le tante canzoni non sono bastate a contenere le ‘fantasticazioni’ che gli girano in testa e questa volta ha cercato la forma più ampia del romanzo per raccontare la storia di Yuri, incarnando in esso il sentimento di un’ intera generazione di giovani, depredati, senza riferimenti, senza voce, senza memoria ma, nonostante tutto, vivi. Una riflessione poetica, tratteggiata come una favola contemporanea che colpisce dritta alla pancia… e poi al cuore, attraversando gli strati più spessi ed impenetrabili dell’animo umano, passando per la tristezza e la rabbia per un presente che a volte non sembra contemplare un futuro, questa storia arriva fino al cuore delle cose, con l’intento sacrosanto di cercare una speranza, forse proprio in quel sentimento di resilienza che spinge nella ricerca di nuovi orizzonti.
Chimenti, come un bravo affabulatore, ci accompagna con la sua voce profonda e penetrante, in questo viaggio tra le pagine del suo Yuri, passando dalla chitarra al piano, coadiuvato da alcuni musicisti che orbitano attorno alla Label foggiana RadioSpia (Madame Butterfly & Mr. Bear, Lucio Pentrella, Giovanni Mastrangelo, Roberto Pellicano, Alessandro Lo Storto), che hanno messo a disposizione la propria professionalità per ricalcare i contorni emozionali di questo spettacolo. In un’alchimia di suoni e atmosfere, dietro la quale si cela il lavoro di Marco Maffei, professionista del suono dall’attenta sensibilità artistica (nonché ideatore dell’evento), complice la splendida cornice della masseria foggiana Tenuta Fujanera, tra melodie che scatenano tempeste di fiori e parole che scorrono come petali di rose sull’acqua, è facile lasciarsi cullare e perdersi come naufraghi nell’oceano poetico di Andrea Chimenti (di Valerio Carangella, giornalista).


Recensione di : “The Alpha States & Andrea Chimenti – Ashes to Ashes”

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—-Recensione—-
Non è il terzo viaggio del Major Tom. Non è un dissacrante inizio di una nuova avventura musicale: è passione. Passione per Bowie, passione per un altalenante ritmo che sposta la batteria verso sonorità chiuse che poi si aprono su di una chitarra martellante. Passione per la voce profonda di Andrea Chimenti, per la capacità di onorare il Maestro dopo 24 anni.
Facile dirla cover, difficile farla meglio. Questa non è una operazione commerciale, ma un tentativo, neanche malcelato, di dimostrare che nella provincia pugliese batte un cuore di ambiziose dimensioni artistiche. In tanti ci hanno provato, molti hanno anche elevato un’asticella difficile da superare. Questa cover ha solo il pretesto non presuntuoso di far conoscere una realtà passionale, quella di un super-gruppo (perlopiù sconosciuto alla “massa” musicale) che traccia una propria identità dietro la sua guida vocale.
Andrea Chimenti è in forma, Bowie ha mantenuto una propria identità e non è copiato. Ma amato, con passione: quella di chi ha voluto suonare il proprio istinto con il coraggio degli umili e la forza degli onesti. Vita allungata per il Major Tom! (di Mario De Vivo, critico musicale)

—-Recensione—-
Negli anni ottanta sono state fatte molte cose poco raccomandabili: le persone si rivoltavano le maniche delle giacche e gli orli dei pantaloni, che erano già pericolosamente alti, c’era gente che suonava le tastiere tenendole a tracolla come delle chitarre, qualcuno suonava il basso solo col pollice e insisteva nell’affogare i rullanti delle batterie nel riverbero. Malgrado ciò, si faceva anche grande musica: David Bowie, nel 1980, inserì nel suo album “Scary Monsters (and Super Creeps)” un brano intitolato “Ashes to Ashes”, una sorta di sequel di “Space Oddity”, che è diventato anche il secondo singolo dei The Alpha States, collettivo italiano di musicisti/produttori capitanato da Marco Maffei, che, oltre a suonarci tastiere e synth, ne cura la produzione artistica, e che, per l’occasione, vede la collaborazione alla voce di Andrea Chimenti, un tempo cantante dei Moda, storica band della scena new wave fiorentina degli anni ’80.
Se l’originale di Bowie è un feticcio new romantic, la versione di The Alpha States è molto nuova e ben poco romantica, e non paga nessun timore reverenziale all’originale, a cui chi tira le fila è notoriamente legato, se solo pensiamo che il secondo disco dei Moda fu prodotto anche da Mick Ronson, chitarrista di David Bowie.
Il pezzo si apre proprio con la voce di Andrea Chimenti a recitare ipnoticamente la lugubre filastrocca infantile con cui Bowie chiude (“My mother said, to get things done, you’d better not mess with Major Tom”); da lì parte un oscuro viaggio in crescendo, che si stratifica un pezzo sull’altro, tra tre voci, un basso fretless che omaggia elegantemente Mick Karn, il compianto bassista dei Japan, un muro di chitarre shoegazer e suoni e rumori e tamburi claustrofobici e luminosi, in un contrasto di pieni e vuoti che è rievocato anche dalla foto di copertina.
E quando, alla fine del brano, la filastrocca che aveva aperto la nostra avventura e che ciclicamente la chiude, vado a riascoltare l’originale di Bowie, è quella a sembrare la rilettura, in chiave più leggera, di un pezzo che è stato masticato, digerito e trasformato dai The Alpha States per ricordarci che… “quel” Maggiore Tom smarrito nel cosmo era proprio uno di noi (di Gianpaolo M. Ruotolo, critico musicale).

—-Recensione—-
“My mama said to get things done, you’d better not mess with Major Tom”, ripeteva Bowie in tono quasi severo in questo classico senza tempo. Il messaggio poteva essere un avvertimento a non cadere nell’autocelebrazione. Come a dire “Puoi voltarti ad ammirare il tuo glorioso passato, ma fallo con attenzione… ad ogni modo è preferibile non voltarsi”. Credo che The Alpha States & Andrea Chimenti abbiano compreso tale monito mentre si dedicavano a questa “Ashes to Ashes” del ventunesimo secolo: il risultato è un omaggio appassionato e rispettoso, realizzato abilmente con il necessario spirito innovativo. Ho apprezzato l’eleganza con cui la traccia scorre, il prezioso intreccio di pianoforte, chitarre e sintetizzatori, sostenuto da una sezione ritmica pregevole, densa di rimandi ai Japan: in particolar modo il basso sembra evocare il genio straordinario di Mick Karn, al quale questo brano è apertamente dedicato (lo stesso Karn avrebbe dovuto prendere parte alle registrazioni, prima di scoprire la sua malattia).
Degno di nota anche l’uso (che definirei “floydiano’) degli effetti sonori, come sirene spiegate o portiere che sbattono, rumori rubati alla quotidianità che divengono parte di un ambiente immaginario e surreale. Ma la cosa che mi ha colpito di più è stato il brillante connubio delle voci: Andrea fa il suo ingresso con il calore e l’intensità che tutti conosciamo bene, e prende parte ad un gioco di luci ed ombre in netta contrapposizione con il timbro cristallino di Vincenzo Mascolo (altro ospite di The Alpha States): una simbiosi di opposti che, secondo il mio pensiero, si sviluppa in tutto il brano senza mai perdere pathos e tensione vitale. Tutto sembra leggero e sospeso, come in un volo cosmico fino ad una imprevista esplosione dinamica che ci riporta sulla terra, come in un test ad alta velocità, per poi rallentare e tornare via via più leggeri, di nuovo verso uno stato di calma, ricercando una circolarità musicale forse neanche priva di intenti simbolici. Le parole chiave sono “ora” e “poi”: il Maggiore Tom sta bene, è felice, non c’è nulla di cui preoccuparsi (di Eugenio “Eugene” Valente – artista).

—-Recensione—-
Il nuovo brano di “The Alpha States & Andrea Chimenti” è dedicato a Mick Karn. Prodotto da Marco Maffei per RadioSpia records, questa versione di Ashes to Ashes di David Bowie è iniziata con l’intesa di avere Mick al basso. In seguito, per il tragico motivo che tutti conosciamo, Mick fu impossibilitato a suonare nella registrazione e, quindi, il suo completamento è stato un atto di amore del produttore e degli artisti coinvolti.
Possiamo ben immaginare la trepidazione avvertita da Giovanni Mastrangelo, quando ha registrato il basso al posto di Mick. Giovanni ha riferito di essersi profondamente commosso durante l’incisione, tale era il suo rispetto per Mick e il suo desiderio di creare una linea di basso che fosse bella e rispettosa per la sua memoria. Con il grande Andrea Chimenti ad una delle voci, il produttore Marco si rese conto con forza che avrebbe dovuto comunque terminare la canzone, in onore di Mick, e riferisce: “Spero che questa canzone rappresenti un modo rispettoso per ricordare la genialità del signor Karn. Ho sentito la sua energia in ogni fase della produzione, e quindi mi piace pensare che ‘Lui’ sia all’interno di questo singolo. Grazie anche ad Andrea Chimenti, abbiamo voluto esprimere ammirazione per Bowie ed amore per Mick, andando avanti… ” (Penelope Harrison Jones – artista – Team Mick Karn)
NotaTMK è un gruppo Facebook di oltre 800 fans di Mick Karn, di suoi amici e familiari. Si impegnano per salvaguardare l’eredità artistica di Mick, visto che ci ha lasciati così improvvisamente. L’ispirazione di Mick è ovunque e il gruppo TMK è profondamente toccato da questo gesto d’amore. Il loro motto è “Keep Karn and Carry On” (www.facebook.com/groups/teammickkarn)

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Difficile riproporre quella che definisco, nel caso di David Bowie, arte pura. Difficile riarrangiare uno dei suoi capolavori più complessi ed importanti, che rappresenta l’aggiornamento di uno dei personaggi spaziali della carriera di Bowie: il Maggiore Tom. Difficile si… quasi impossibile, ma nel caso di The Alpha States & Andrea Chimenti c’è da ricredersi.
Il brano Ashes to Ashes si apre in un modo avvolgente, tenebroso, quasi palpabile. Dolcemente mi sento cullata e vengo letteralmente trascinata dalle note di un pianoforte che mi spinge in alto, fino ad arrivare alla Torre di Controllo…Sprofondo in una combinazione di suoni e tutto mi pare identico.
The Alpha States & Andrea Chimenti hanno saputo sradicare, modellare e “ri-suonare”, in una nuova chiave elegante e vibrante, le stesse emozioni che Bowie mi sa dare. Le percepisco in egual misura. Nel finale, un’esplosione mi scuote dalla anestetica visione della canzone (come in uno stato alpha…) ed è una piacevole sorpresa. Confinata nell’alto dei cieli… raggiungo un’emozione senza fine(di Teresa Laquintana, dark wave artist).


Recensione: “Madame Butterfly and Mr. Bear – What a Wonderful”

(una recensione di Valentina Scuccimarra)

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Con il loro folk-pop-rock sfacciatamente “sweet & romantic”, Madame Butterfly & Mr Bear sono decisamente un’anomalia dell’attuale panorama indie italiano. Un’elegante vibrazione acustica, leggera come un volo di “farfalla” e confortante come una “pelle d’orso” vichinga, che con disinvoltura sorvola altre poco rassicuranti sonorità come rock/sperimental/metal, etc.
Ed è proprio quest’impronta modulata su un ideale melodico di “struggente romanticismo folk” che non teme di risultare “vintage” omaggiando, con ballate originali, la tradizione “country d’autore” (che da Simon & Garfunkel attraversa Neil Young, per arrivare a Harry Nilsson e ad un certo repertorio di Leonard Cohen): quello che più contraddistingue l’identità musicale dei MB & MB.
Una band che è nata dall’incontro fatale, nel 2010, tra due musicisti con esperienze molto diverse: Vincenzo “Mr. Bear“ Mascolo (compositore iperattivo, già frontman degli Screaming Flowers, Bedford, The Frikk) e Valery “Madame Butterfly” Mai (soprano con esperienze in cori polifonici, amante della musica leggera anglofona, iscritta al Conservatorio in canto jazz).
Una sorta di collisione (casuale?) tra due pianeti sonori distanti – ben illustrata dal nome – che ha originato un progetto musicale interessante e che offre un repertorio adatto ad un pubblico alla ricerca di respiri melodici che evochino atmosfere folkeggianti statunitensi affinate da una sensibilità europea.
MB & MB, oltre a collezionare live, si sono segnalati in numerosi contest a livello nazionale, grazie anche ad un repertorio originale confezionato con classe compositiva e grazie a due voci che sanno armonizzarsi in maniera convincente. Nel tempo, il duo ha integrato anche una band, ospitando vari componenti a rendere più denso l’impasto fra le due voci e la chitarra di Vincenzo.
Tra questi, in particolare, il violino di Emanuela Lyoi, che è anche una parte integrante del brano What a Wonderful prodotto dalla label “RadioSpia records” di Marco Maffei.
Pubblicato l’8 dicembre 2013, il brano è vincitore del concorso nazionale “Win a Hit at Mastering.it“, che ha visto una difficile selezione effettuata in modo impeccabile da una giuria di esperti – Andrea Chimenti, Valentino Corvino, Giovanna Russo, Mario Longo e Mara Campobasso.
Sono sicura che “What a Wonderful” conquisterà tutti, soprattutto chi è alla ricerca della musica ideale per evadere dal quotidiano rifugiandosi in una dimensione onirica che ha il sapore dei caldi abbracci (di Valentina Scuccimarra, critico musicale).


Recensione: “The Alpha States – Solitude Standing”

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Lo stato vegetativo che potrebbe intendere il loro nome non ha assolutamente nulla a che vedere con quello creativo di questo singolo. Con Suzanne Vega nel cuore e l’elettronica tra i sentimenti, The Alpha States ci rendono partecipi della solitudine nel dover rincorrere una cover che mantiene, nelle atmosfere, il giusto sapore del pop-folk per poi stringere la mano all’elettronica minimalista degli anni ’90.
E, se Solitude Standing riesce emotivamente a far partecipare non solo chi di nostalgia ci vive, Violeentiak è una botta al cervello che sussulta in ritmi incalzanti verso la follia. They’re sitting all together in the dark in the warm (di Mario De Vivo, critico musicale).

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In questo universo, “Solitude Standing” è il brano che dà il nome all’album con cui Suzanne Vega divenne una star mondiale oltre venticinque anni fa. In un altro universo, parallelo e possibile, invece, The Alpha States pubblicarono la loro “Solitude Standing” PRIMA di Suzanne Vega.
Prima delle volute sussurate di Suzanne, c’erano le coloriture più gravi di Mara De Mutiis. E ancora prima che sfociasse nell’acquietata versione che diede il nome all’album del 1987, anche il tappeto musicale vibrava al ritmo scomposto marchiato The Alpha States, insieme alle inquietudini espresse nel testo: “I’ve come to set a twisted thing straight”.
Questa è la mia sensazione, ascoltando l’EP “The Alpha States – Solitude Standing” prodotto da RadioSpia, l’etichetta indipendente / evoluzione di un format che per due stagioni radiofoniche propose interviste ed esibizioni dal vivo, da ultimo sulle frequenze dell’emittente pugliese RadioNova97. E foggiani sono anche Mara De Mutiis (voce su Solitude Standing), Gianrico Colonna (coautore di “Violentiaak” e chitarra sul “Trip Remix”) e Marco Maffei (ideatore e cardine del progetto), trasformatisi, per l’occasione, da Violent Bop Generator a The Alpha States.
L’indizio rivelatore è la seconda traccia, “Violeentiaak”: è da questa «botta al cervello», come qualche altro critico l’ha già definita, che si intuisce il programma con cui soprattutto Maffei, engineer e “disegnatore” di suoni, ha messo su il progetto. “Violeentiaak” è un sabbath, con intro da Massive Attack e uno sviluppo alla Portishead: un crescendo senza culmine, congegnato per stordire e condurre alla trance, come poi si chiama il genere d’ispirazione, e come faceva già sospettare il naming. Sì, perché i brani portano a un livello assai oltre lo «stato vegetativo»: con le onde alfa del cervello si creano le cose più sublimi, si accede a stadi extrasensoriali, non si sente più il dolore, si rigenerano corpo e mente. Il tema è il corpo e la musica. «Gli anni di techno e di musica digitale hanno risvegliato nella nostra civiltà tecnologica e metropolitana un’antichissima risorsa vitale: la capacità di trascendere il proprio corpo per accedere, attraverso la musica e la danza, alla dimensione dell’ignoto, dell’altrove e dunque della trance», scriveva Gianfranco Salvatore, etnomusicologo che insegna all’Università di Lecce (Techno-trance. Una rivoluzione musicale di fine millennio, Castelvecchi, 1998). Più che integrarsi nel back-catalogue con cui, nel 2012, la stessa Suzanne Vega celebrò il giubileo di “Solitude Standing” (con una serie di concerti anche in Italia), il twist/er sonoro di The Alpha States, con tutto il loro sciame di vibrazioni e frequenze, ne sembrano quasi un pre/testo.
Se è così, suggerisco di ascoltarlo in questo ordine: cominciate da “Violeentiaak” (traccia 2), proseguite con “Solitude Standing (Trip Remix)” (traccia 3), poi con “Solitude Standing” (traccia 1) e concludete, dopo aver alterato lo stato di coscienza, fuori dall’EP, ascoltando l’originale di S. Vega. Quest’ultima traccia vi sembrerà, probabilmente, una cover di The Alpha States (di Giovanni Dello Iacovo, giornalista).


Recensione:  “The Charmin’ Elf – She’ll wear my ring”

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Prendete l’anima tradizionale ed epica dei Chieftains, aggiungete quella popolare dei Dubliners e quella fresca e attuale dei Lunasa e l’orginalità del loro suono e avrete… The Charmin’Elf.
Sono passati diversi anni dal primo album intitolato “Mattino”, che lasciava ben sperare ad un secondo capitolo.
Finalmente, per la nuova etichetta RadioSpia, giunge a sorpresa un nuovo singolo in formato digitale pubblicato nel mese di novembre 2012. “She’ll wear my ring” è una ballata scritta interamente da Giovanni Mastrangelo. È intensa e coinvolge il proprio animo, perché brilla di immediatezza e facilità d’impatto. Ha un fascino malinconico nel ritornello, che si insinua nel cuore di chi l’ascolta, grazie anche all’intervento del low whistle suonato da Massimo La Zazzera.
The Charmin’Elf sono cresciuti e maturati, trasmettendoci la loro passione e curiosità. Uno dei meriti principali è dovuto dall’essenzialità dell’arrangiamento suggestivo, voluto da Marco Maffei (che si è occupato anche della registrazione), il quale ha voluto distaccare l’ensemble dalla catalogazione “folk” di stampo irlandese, intraprendendo un nuovo percorso contaminato da altri generi musicali. Infatti, nella canzone in questione si denota la matrice folkie, ma con divagazioni verso il fraseggio barocco, attraverso soprattutto gli archi suonati da Emanuela Lioy (violino e violoncello).
L’intervento degli altri musicisti, Nicola Cicerale alla chitarra, il già citato Giovanni Mastrangelo al contrabbasso e al bouzouki, Aldo Grillo alle percussioni fa sì che “She’ll wear my ring” trasmetta una sensazione di onestà, genuinità, fierezza e soprattutto delicatezza, anche per merito della squisita voce di Mara Campobasso (che suona anche un’arpa diatonica, chiamata in gaelico “cláirsach’). La sua voce, seppur rimandi alla cantante e violinista Mairéad Ní Mhaonaigh degli Altan, ha una originalità ed un timbro sempre ben presente da far dimenticare ogni paragone.
L’inverno è passato, e questa ballata di riflessione mutevole scalda, con le sue tinte sonore, la primavera: una stagione adatta per ascoltarla ed apprezzarla. In attesa del nuovo album (di Samuele Romano, critico musicale).